Procès d'un jeune poète

Il faro è puntato su un episodio storico stupefacente anche per l’epoca dei fatti: è il 1964. Il poeta Joseph Brodsky, a quel tempo appena ventiquattrenne, è accusato dal regime sovietico di “parassitismo sociale”. A processo concluso, Brodsky è condannato a cinque anni di lavori forzati e all’esilio nel freddo Nord della Russia. Tutti i particolari nel resoconto annotato della giornalista Frida Vigdorova.

NOTA SUL FILM
Attraverso una messinscena di rigore essenziale e scenografie spoglie e minimali che trasmettono un costante senso d’oppressione, Philippe Van Cutsem non si limita a ricostruire gli eventi ma coglie tutto il peso morale della persecuzione e la ossessione di un potere invisibile ma onnipresente. Con una chiusura sorprendente che mette in dialogo ieri con oggi, mostrando la scottante attualità di una vicenda esemplare.

NOTE DI REGIA
La colpa di Brodsky era il fatto di non mettere i suoi talenti al servizio del comunismo. Il vero imputato, però, era l’atto poetico. Il tempo è galantuomo: oggi permette a noi di leggere meglio quest’episodio, che allora si inseriva nella Storia sovietica. A oltre trent’anni dal collasso del regime sovietico, preludio della diffusione globale dell’ideologia ed economia neoliberista, il mondo corre e s’inabissa nel caos. E la poesia è ancora in crisi; quel disprezzo non è solo dei regimi totalitari. In democrazia, al giogo del capitalismo, il dominio della poesia, che nega il trattamento consumistico della vita, si ritira. Il capitalismo lo estingue con un’efficacia persino maggiore.